Dalla prevenzione alla repressione: l’intervento dello Stato contro le coltivazioni illegali di OGM

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08 Mar 2017

di Stefano Masini

La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legge 24 giugno 2014 n. 91, recante disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia
scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla
normativa europea, offre l’occasione per ripercorrere le ultime vicende in materia di organismi geneticamente modificati e per riflettere sulla necessità di una previsione sanzionatoria a tutela di
beni di rilevanza costituzionale che risultano continuamente minacciati da atteggiamenti di sfida, piuttosto che da reali necessità, che poco aiutano ad affrontare con la giusta prudenza un tema tanto delicato.
L’art. 4, ultimo comma, Misure per la sicurezza alimentare e la produzione della Mozzarella di Bufala Campana DOP, espressamente dichiara: «salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque viola i divieti di coltivazione introdotti con atti adottati, anche in via cautelare, ai sensi degli articoli 53 e 54 del regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002, è punito con la reclusione da 6 mesi a tre anni e con la multa da euro 10.000 a euro 30.000. L’autore del delitto di cui al presente comma è tenuto altresì a rimuovere, a propria cura e spese, secondo le prescrizioni del competente organo di vigilanza, nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria, le coltivazioni di sementi vietate ed alla realizzazione delle misure di riparazione primaria e compensativa nei termini e con le modalità definiti dalla regione competente per territorio».
Tale disposizione assume un’importanza cruciale non solo per il fatto di aver riconosciuto come penalmente rilevante la condotta di chi coltiva sementi geneticamente modificate in disprezzo di divieti imperativamente disposti, ma anche per aver restituito legittimità all’attività delle autorità nazionali e per avere, di conseguenza, posto fine ad un accanimento giudiziario senza precedenti (1).
La pubblicazione del decreto legge segue di poco la conclusione del processo amministrativo dinanzi al T.A.R. che ha respinto il ricorso presentato da un imprenditore agricolo per ottenere
l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, del decreto interministeriale di adozione delle misure di urgenza ai sensi dell’art. 54 del Regolamento (CE) concernenti la coltivazione di mais
geneticamente modificato MON 810 firmato dai Ministeri della Salute, delle Politiche agricole, alimentari e forestali e dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare, il 12 luglio 2013 e che
vieta la coltivazione di varietà di mais MON810 provenienti da sementi geneticamente modificate sull’intero territorio nazionale fino all’adozione delle misure comunitarie d’urgenza di cui all’art.54, comma 3 del regolamento (CE) n. 178/2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e fissa le
procedure relative alla sicurezza degli alimenti e, comunque, non oltre diciotto mesi dalla data di adozione del decreto stesso.
Le questioni sollevate dinanzi al T.A.R. sono state incentrate sulla negazione del carattere di misura di emergenza del provvedimento interministeriale. Le argomentazioni a supporto della tesi difensiva sono state smontate dai giudici di prime cure, che hanno riconosciuto la base fondativa del decreto nella disposizione di cui all’art. 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003 relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati il quale, nell’individuare le misure d’emergenza, stabilisce che «quando sia manifesto che prodotti autorizzati dal presente regolamento o conformemente allo stesso possono comportare un grave rischio per la salute umana, per la salute degli animali o per l’ambiente ovvero qualora, alla luce di un parere dell’Autorità formulato ai sensi degli articoli 10 e 22, sorga la necessità di sospendere o modificare urgentemente un’autorizzazione, sono adottate misure conformemente alle procedure previste agli articoli 53 e 54 del regolamento (CE) n. 178/2002».
Secondo il ricorrente il decreto sarebbe stato adottato in assenza dei presupposti di cui all’art. 34, rappresentati dalla sussistenza e dalla prova, scientificamente supportata, di un grave rischio per la
salute e per l’ambiente conseguente alla coltivazione di Ogm. Con la sentenza n. 4410/2014, la sezione Terza Quater del T.A.R. Lazio ha ritenuto il decreto rispondente alle condizioni della norma richiamata, attribuendo un ruolo centrale al principio di precauzione, la cui interpretazione, avvalorata dai recenti orientamenti della giurisprudenza della Corte di giustizia, consente ad uno Stato di adottare, in presenza di una situazione di incertezza «riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone», misure di protezione, «senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi. L’applicazione corretta del principio di precauzione presuppone, in primo luogo, l’individuazione delle conseguenze potenzialmente
negative per la salute derivanti dall’uso della sostanza attiva in questione, nonché la valutazione complessiva del rischio per la salute basata sui dati scientifici disponibili più affidabili e sui risultati
più recenti della ricerca internazionale (Corte di Giustizia, sez. II, n.77/2010; sez.VI, n.24/2004)» (2).
La sentenza del Tar, depositata il 23 aprile 2014, è stata impugnata dal ricorrente dinanzi al Consiglio di Stato. L’appello è stato affidato a tre motivi di ricorso sostanzialmente coincidenti con quelli proposti in primo grado. Il 12 giugno il Consiglio di Stato si è pronunciato sulla sospensiva rigettandola e ha rinviato la discussione sul merito al prossimo 4 dicembre.
Gli ultimi avvenimenti devono essere salutati con particolare favore non solo per le ricadute positive che le misure di divieto producono sul territorio nazionale, ma anche, e soprattutto, perché
sembra essersi finalmente ristabilito l’ordine tra principi, competenze e libertà di estrazione europea da un lato e la sovranità degli Stati dall’altro. Si intende, cioè, richiamare l’atto di forza delle
autorità nazionali nell’esercitare i poteri costituzionalmente riconosciuti a fronte di principi europei di portata generale orientati alla protezione di beni costituzionalmente tutelati. L’imprenditore
agricolo, nel domandare la sospensione dell’efficacia del decreto interministeriale, aveva fatto valere l’interesse all’esercizio di un’attività d’impresa basata sulla coltivazione di OGM rilevando
che il decreto avrebbe ostacolato la propria libertà di iniziativa economica garantita dalla Costituzione, introducendo un elemento distorsivo nella concorrenza, consistente nello svantaggiare
gli imprenditori italiani rispetto a quelli di altri Paesi in materia di coltivazione di OGM.
Non sussistendo la prova di gravi rischi per la salute e per l’ambiente ai fini dell’applicazione delle misure di urgenza di cui agli artt. 53 e 54 del regolamento n. 178/2002, l’imprenditore avrebbe
dunque potuto coltivare le sementi iscritte nel Catalogo comune europeo senza attendere il rilascio di ulteriori autorizzazioni. L’imprenditore, tuttavia, non sembra aver fatto i conti con quel nutrito
apparato di principi che condiziona l’azione delle istituzioni europee e nazionali (3).
Tra questi principi un ruolo determinante è svolto dal principio di precauzione il quale, pur essendo riferito alla sola tutela ambientale, ai sensi dell’art. 191, par. 2, TFUE è riconosciuto come
«principio generale che impone l’adozione di misure atte a prevenire rischi per la sicurezza e la salute, oltre che per l’ambiente. Ed è significativo che l’esigenza di proteggere tali interessi sia stata
anteposta a quella di tutela degli interessi economici» (4).
Il principio di precauzione, d’altra parte, deve essere preso in considerazione ai fini di una corretta interpretazione degli artt. 53 e 54, che tenga conto, inoltre, delle finalità del regolamento n.1829/2003, allo scopo di garantire un elevato livello di tutela della vita e della salute umana, e al contempo la libera circolazione di alimenti e di mangimi sicuri e sani, che costituisce un aspetto
essenziale del mercato interno (v., par. 71 della sentenza della Corte di Giustizia nei procedimenti riuniti da C-58 a C-68 dell’8 settembre 2011, e per analogia, sentenze 21 marzo 2000, causa C 6/99,
Greenpeace France e a., Racc. pag. I 1651, punto 44, e 9 settembre 2003, causa C 236/01, Monsanto Agricoltura Italia e a., Racc. pag. I 8105, punto 110) (5).
Il principio di precauzione, tuttavia, risulta soltanto enunciato nel TFUE e, pertanto, si è proposto di ricorrere alla definizione contenuta all’art. 7 del regolamento n. 178/2002. In ogni caso, la «gravità» del rischio di cui all’art. 34 è stata interpretata nel senso che la misura di emergenza può ritenersi giustificata in presenza di un rischio che pur non essendo (recte: non potendo a priori essere) esattamente quantificabile, sia comunque idoneo a provocare un danno che verrà valutato dalle istituzioni.
Altro aspetto rilevante riguarda la prova del rischio: si è, infatti, rilevato che l’assenza di prove sulla possibile esistenza di un rischio di danno, non esclude, come conseguenza immediata, il ricorso al
principio di precauzione dovendo, anzi, considerarsi applicabile il principio dell’inversione dell’onere della prova, che fa ricadere su colui che invoca la presunzione di sicurezza della coltivazione in assenza di rischi accertati la prova di aver adottato tutte le misure necessarie a rendere effettivamente sicura la coltivazione (6).
A suffragio di tale convincimento si richiama il recente Rapporto dell’Agenzia Europea dell’Ambiente del 23 gennaio 2013che affronta in dettaglio gli aspetti legati ad uno sviluppo incerto sotto il profilo degli effetti, anche di lungo periodo, delle biotecnologie, e solleva numerose preoccupazioni di carattere economico, sociale ed ambientale derivanti dalla coltivazione di OGM: in particolare, si tiene conto di una serie di elementi che fanno seriamente dubitare dell’utilità in termini di costi/benefici della loro coltivazione (7).
I dati del rapporto forniscono un apparato giustificativo solido alla scelta politico-legislativa italiana di sanzionare chi continua a violare le disposizioni anti-OGM proprio in attuazione del principio di precauzione che fa da presupposto agli stessi obiettivi fissati dalla Commissione nella comunicazione del 23 gennaio 2002 su «Le scienze della vita e la biotecnologia – Una strategia per l’Europa» (8). L’accostamento appare coerente con la sfida di creare nuove opportunità di crescita economica e sociale attraverso la valorizzazione delle biotecnologie: alla base di tale strategia si
pone la conoscenza, quale tassello fondamentale dell’apertura delle scienze verso nuovi sviluppi. È la conoscenza, dunque, la garanzia del progresso tecnico-scientifico, perché soltanto la conoscenza, alimentata dalla ricerca e dagli investimenti sia pubblici che privati, e condotta nel rispetto di valori etici e sociali, può assicurare, nel lungo periodo, un benessere effettivo a vantaggio dell’intera collettività grazie allo sviluppo di tecnologie all’avanguardia9. In relazione agli Ogm, il documento precisa che sussistono ancora incertezze anche sotto il profilo etico e che pertanto occorre procedere con estrema cautela, pur impegnando gli Stati ad impiegare gli istituti di ricerca nell’approfondimento del tema.
Appare interessante notare che la Comunicazione costituisce la base dell’adozione della Raccomandazione del 23 luglio 2003 recante orientamenti per lo sviluppo di strategie nazionali e migliori pratiche per garantire la coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche (2003/556/CE) nella quale sono fissate le misure di prevenzione da adottare per evitare o minimizzare i rischi di commistione tra i diversi tipi di colture. La raccomandazione disciplina la coesistenza sotto il profilo del pregiudizio esclusivamente economico che potrebbe derivare agli agricoltori a causa della «presenza accidentale (involontaria) di colture transgeniche in colture non geneticamente modificate e viceversa» (1.1, par. 1). Agli agricoltori deve essere garantita la facoltà di scegliere liberamente il modello di produzione, così come ai consumatori deve essere assicurata «la reale possibilità di scelta tra cibi transgenici e non transgenici» (1.1, par. 2). Sembra, dunque, che la conoscenza necessaria allo sviluppo delle scienze della vita e delle biotecnologie debba passare attraverso uno studio approfondito dell’agricoltura europea «caratterizzata da una grande variabilità delle dimensioni delle aziende agricole e delle superfici coltivate, tra i sistemi di produzione, i tipi di rotazione colturale e i modelli colturali, per non parlare delle diversissime condizioni naturali» (1.4). La vicinanza degli Stati alle realtà locali, espressa dal principio di sussidiarietà, comporta un loro diretto intervento nella elaborazione ed attuazione delle misure di gestione più idonee a garantire la coesistenza e, di conseguenza, un loro impegno nella promozione della conoscenza nel settore delle biotecnologie.
La Raccomandazione richiamata è stata abrogata nel 2010, da una Raccomandazione che assume, questa volta, come base giuridica l’art. 26 bis della direttiva 2001/18/CE, inserito nel corpo della
direttiva dall’art. 43 del regolamento n. 1829/2003, che attribuisce agli Stati la facoltà di adottare tutte le misure opportune per evitare la presenza involontaria di OGM in altri prodotti, specie in
altre colture, quali quelle convenzionali o biologiche (10). Nella sua intitolazione la Commissione precisa che obiettivo di tali orientamenti non è più quello di assicurare la coesistenza tra le diverse
colture, bensì quello di evitare la presenza involontaria di OGM nelle colture convenzionali e biologiche, a causa dei gravi pregiudizi che possono subire i redditi degli agricoltori nel caso della
presenza involontaria di OGM nelle colture non OGM. Particolare attenzione è posta alla produzione biologica, di solito più costosa e, pertanto, meritevole di maggiore tutela attraverso l’adozione di «misure di separazione più severe per evitare la presenza di Ogm e garantire la relativa maggiorazione del prezzo» (1.1, par. 5).
Il quadro così tracciato consente, pertanto, di concludere che ad una misura di prevenzione inizialmente giustificata da ragioni di tutela della salute e dell’ambientale si è accostata una misura di prevenzione di rilievo economico diretta a garantire correttezza e trasparenza nelle relazioni commerciali tra imprenditori e consumatori, a dimostrazione dell’influenza esercitata dai comportamenti di mercato sui modelli di sviluppo dell’economia e sull’ambiente. Nel primo caso la misura è rivolta a tutti i cittadini, i quali devono poter contare sulla legittimità di azioni che non
abbiano l’effetto di nuocere alla loro salute o all’ambiente; nel secondo caso la misura è rivolta a tutti gli imprenditori, i quali devono poter esercitare liberamente la loro attività economica senza
incorrere in costi o spese dovuti ad una commistione dannosa delle colture, così come tutti i consumatori devono poter acquistare il prodotto prescelto sulla base di informazioni chiare e
veritiere (11). E anche in questo caso interviene un principio di fonte europea a sorreggere l’azione degli Stati contro comportamenti scorretti dei suoi cittadini: il principio di leale cooperazione tra
istituzioni nazionali ed europee, che riconosce alle prime «il dovere di attivare i rimedi giurisdizionali adeguati e di comminare sanzioni altrettanto adeguate a garantire l’effettività dellenorme dell’Unione» (12).
Presenta, pertanto, la sua estrema coerenza la disposizione sanzionatoria in materia di OGM in quanto espressione del potere dello Stato, che trova la propria fonte di legittimazione nei principi
dell’UE, di adottare le misure più adeguate ad impedire la violazione dell’ordinamento nazionale e la destabilizzazione della sicurezza nazionale, riconosciuta dal Trattato dell’Unione Europea, come
di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro (art. 4, par.2).


(1) Masini S., Accanimento processuale e accertamento di responsabilità in materia di coltivazione
non autorizzata di varietà geneticamente modificata, in Riv. dir. giur. agr. al. amb., 2012, p. 342 ss.
(2) Si vedano anche Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 8 settembre 2011, incause
riunite da C 58 a 68/10, Monsanto SAS et al., par. 63 e 69-71, non che le conclusioni dell’Avvocato
generale Paolo Mengozzi presentate il 22 marzo 2011 per le stesse cause, in http://curia.europa.eu/
(3) G. Teasauro, Diritto dell’Unione europea, VII ed., Padova, 2012, p.106 ss., spec. p. 108il quale
rileva che «nella prassi l’applicazione di “principi” comunque denominati, non è di poco rilievo. A
volte si tratta soltanto di criteri di interpretazione, ma il più delle volte essi sono utilizzati al fine di
individuare i limiti dell’esercizio del potere da parte dell’amministrazione nei confronti degli
amministrati; o per determinare più in generale, la legittimità di un atto o di un comportamento, di
una istituzione dell’Unione o di uno Stato membro. In ogni caso, si tratta normalmente di veri e
propri parametri di legittimità, dunque di norme idonee a creare diritti ed obblighi».
(4) G. Teasauro, Diritto dell’Unione europea, cit., p. 108, il quale, nel riportare in nota (58) la
giurisprudenza a supporto di tale affermazione, cita anche la sentenza 9 settembre 2003, in causa C-
236/01, Monsano Agric. Italia c. Presidenza del Consiglio dei Ministri, Racc., p. I-8105, par. 106 ss.
(5) V. anche le riflessioni dell’Avvocato generale Paolo Mengozzi nelle conclusioni per le cause
riunite C-58/68, Monsanto SAS et. al., cit., par. 51-54.
(6) F. Bruno, Giudici e biotecnologie: la sentenza Monsanto II, in Agr. Ist. Merc., n.1, 2004, p. 147
ss., spec. p. 154-157.
(7) Per un esame più approfondito, si veda lo studio di D. A.Quist – J. A. Heinemann – A.I. Myhr –
I. Aslaksen – S. Funtowicz, Hungry for innovation: from crops to biotechnology, in European
Environment Agency Report. Late lessons from early warnings: science, precaution, innovation, n. (9) Si legge nella comunicazione che «Le scienze della vita e la biotecnologia sono una realtà
globale ed essenziale se si vuole raggiungere l’obiettivo di sviluppare economie dinamiche ed
innovatrici basate sulla conoscenza. Dobbiamo far fronte ad interrogativi difficili ed identificare i
nostri obiettivi strategici per evitare la trappola delle soluzioni a breve termine per sfide di lungo
respiro e delle soluzioni locali per problemi su scala mondiale».
(10) In materia di coesistenza, si rinvia a E. Sirsi, Ogm e coesistenza con le colture convenzionali,
in Agr. Ist. Merc., n. 3, 2006, p. 391 ss., spec. p. 396 ss.; S. Masini, Sul ruolo della Corte di giustizia
tra identità della produzione agroalimentare e coesistenza delle coltivazioni OGM, in Dir. giur. agr.
al. amb., 2012, p. 614-615; Id., Il giudice penale e la gestione del rischio economico nella
coltivazione di OGM, nella stessa Riv., p. 765 ss.
(11) Si rinvia, amplius, a P. Masi, Pubblicità ingannevole, prodotti alimentari e prodotti
geneticamente modificati, in Riv. dir. al., n. 1, 2008, p.1 ss.
(12) G. Tesauro, Diritto dell’Unione europea, cit., p. 117.

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