Il pomodoro viene consumato a livello mondiale fresco o trasformato (cioè sottoposto a processi di conservazione) e i suoi usi si trovano in tutte le cucine come piatto principale, condimento o anche succo da bere.
Fondamentale per un’alimentazione sana ed equilibrata, alimento cardine della dieta Mediterranea, abbinato alla pasta e alla pizza, il pomodoro diventa l’ingrediente principale della tradizione culinaria italiana.
Se si acquista il pomodoro fresco “da tavola”, o “da mensa”, è utile saper riconoscere le migliori varietà ed evitare di consumarlo quando ancora non è maturo perché, essendo ricco di acido ossalico, può favorire la formazione di calcoli renali o interferire con l’assorbimento del calcio; inoltre, i pomodori acerbi sono anche ricchi di solanina una sostanza che può provocare sonnolenza e nausea se ingerita in quantità eccessiva.
Il pomodoro fresco può essere acquistato anche se non è ancora del tutto maturo, in quanto riesce a completare la maturazione anche lontano dalla pianta – in un ambiente umido a 20°C in 3-4 giorni o fuori dal frigorifero.
Attenzione però al momento dell’acquisto: la rosetta (la zona opposta al picciolo) deve essere rossa perché solo così possiamo capire se il pomodoro è ben avviato verso la fase di maturazione.
Quindi, come scegliere quelli migliori?
Per riconoscere i più saporiti bisogna fare attenzione al colore che è l’aspetto più importante: un bel colore rosso indica che il pomodoro è maturo e il consiglio è quello di strofinare con le dita la parte intorno al picciolo; se si sente l’aroma tipico del pomodoro, allora significa che il frutto è maturo al punto giusto.
Ci sono però varietà che richiedono un approccio diverso, essendo di colore rosso/verde anche in fase di maturazione: in questo caso bisogna osservare l’area intorno al picciolo che deve essere verdastra con delle venature che sfociano nella parte rossa.
Una volta acquistato, il pomodoro fresco offre moltissime soluzioni “casalinghe” per quanto riguarda la sua conservazione, ad esempio preparando una tradizionale salsa di pomodoro, magari con l’aggiunta di qualche fogliolina di basilico.
È poi possibile conservare i pomodori di piccola taglia al naturale, facendo ricorso ad acqua bollente con aggiunta di sale.
Un ulteriore metodo è quindi l’essiccazione, diffuso soprattutto nelle regioni del sud.
Infine, si può preparare una confettura di pomodori, dal sapore agrodolce, adatta da spalmare su bruschette oppure servita come salsa per verdure, crocchette e secondi piatti in generale.
Se si acquista pomodoro trasformato (cioè da industria) è altrettanto importante fare attenzione alle diverse categorie merceologiche presenti sul mercato, come ad esempio il pelato, la polpa, la passata e altri derivati.
In linea di massima, le tecniche di lavorazione e conservazione industriali sono praticamente simili a quelle che possiamo fare in casa: i pomodori vengono scottati, pelati, privati di semi e di una parte di acqua e, infine, setacciati; oppure, si possono far bollire pochi minuti, si incidono per far uscire l’acqua in eccesso e si lasciano scolare qualche minuto, prima di passarli e salarli.
Spesso però a livello industriale viene aggiunto dell’acido citrico per aumentarne l’acidità e prevenire la formazione del botulino.
A chiusura del ciclo, i pomodori processati vengono quindi imbottigliati e pastorizzati.
Per capire le principali differenze tra le varie marche, oltre al prezzo, dobbiamo fare attenzione alla provenienza, tipologia di pomodoro e al processo di trasformazione.
In quest’ultimo caso, infatti, una maggiore quantità d’acqua prelevata, provocando una concentrazione di zuccheri naturali e carboidrati, darà come risultato un prodotto più consistente, corposo e dolce.
Ma, nonostante il pomodoro trasformato sia per definizione un metodo di conservazione, una volta aperto il prodotto deve essere conservato in frigorifero e consumato in breve tempo, di solito entro 2-3 giorni al massimo.
Per quanto riguarda infine l’etichettatura obbligatoria, se decidiamo di acquistare il prodotto fresco è doveroso ricordarci che esiste l’obbligo non solo di indicare la provenienza, ma anche la varietà e la categoria di qualità.
Ma se optiamo per un prodotto trasformato, è ancora più che fondamentale fare attenzione all’etichetta: se fin dal 2006 esiste l’obbligo di indicare dove è stato coltivato il pomodoro usato per la passata, solo a partire dal 2018 è obbligatorio indicare, oltre al luogo di trasformazione, l’origine della materia prima per tutti gli altri derivati del pomodoro, come ad esempio per il concentrato.
Il pomodoro, o Solanum Lycopersicum, è una pianta orticola della famiglia delle Solanaceae, la stessa di patate, peperoni e melanzane.
Originario dell’America Latina, in particolare da Messico e Ande peruviane, venne conosciuto in Europa solo nella prima metà del ‘500, in particolare in Spagna e Italia: oggi è diffuso in tutto il pianeta grazie alla sua elevata adattabilità e biodiversità.
Nelle zone temperate, la pianta non sopravvive al clima invernale ed è quindi coltivata come annuale: per ottenere risultati eccellenti si ha bisogno che la pianta cresca tra i 20° e i 29° C.
Il pomodoro è una bacca carnosa caratterizzata da una buccia sottile che assume una colorazione generalmente rossa.
I semi, di forma appiattita, sono contenuti all’interno di logge e circondati dalla polpa ricca di succo.
Si presenta in forme assai differenti: da quelle piccolissime (come i ciliegini) fino a frutti più enormi (cuor di bue), ma anche in diverse colorazioni, dal classico rosso intenso ai pomodori di colore verde e giallo.
L’ampio e variegato panorama delle tipologie di pomodoro coltivate è però in continua evoluzione per offrire nuove ed accattivanti opportunità di consumo. Ad esempio sono state immesse sul mercato cultivar di colore bianco (white queen, white tomesol), giallo (douce de Picardie, wendy, lemon), rosa (thai pink), arancioni (moonglow), verdi anche a maturazione (green zebra), e persino varietà nere-violacee (nero di Crimea, purple perfect). È d’obbligo purtroppo sottolineare che alcune di queste sono state appositamente selezionate come OGM.
Esistono inoltre alcune varietà che sono state selezionate per la raccolta meccanizzata e destinate alla trasformazione industriale perché possiedono una accentuata caratteristica di distacco della bacca dalla pianta e una buccia particolarmente robusta: nel momento dell’estirpazione e scuotimento, i frutti cadono infatti al suolo senza danneggiarsi.
Le innovazioni tecnologiche hanno permesso che un prodotto dalla stagionalità ridotta possa oggi essere conservato e disponibile sulle tavole dei consumatori praticamente tutto l’anno attraverso una vasta gamma di derivati:
• Pelato intero: non subisce nessuna lavorazione e viene direttamene confezionato dopo esser stato sottoposto a lavaggio e pelatura
• Cubettato di Pomodoro: il pomodoro viene tagliato con delle macchine che fanno a cubetti il pomodoro con tagli regolari da 1 cm fino ad un massimo di 2 cm
• Polpa di Pomodoro: il pomodoro viene schiacciato contro dei “tamburi forati” facendo passare dall’altra parte una polpa irregolare di piccole dimensioni
• Passata di Pomodoro: i pomodori vengono “passati” all’interno di setacci dal diametro di max. 1 mm riducendolo in una poltiglia finissima totalmente priva di semi
• Concentrato di pomodoro: attraverso la spremitura del pomodoro, il succo viene concentrato all’interno di grandi “evaporatori sottovuoto” (in commercio esiste anche il doppio e il triplo concentrato)
Il seme del pomodoro non viene solitamente piantato direttamente in campo bensì fatto germogliare in serra (semenzai) con la giusta temperatura ed il corretto nutrimento; successivamente, solo quando la piantina raggiunge gli 8/10 cm può essere effettuato il trapianto in campo aperto: meglio se in terreni di medio impasto, ben drenati, freschi e profondi.
La tecnica di semina in semenzaio e successivo trapianto a terra viene usata sia per i pomodori da tavola che per quelli da industria.
Nel caso però di un prodotto a fini industriali, solitamente il lavoro umano è affiancato da potenti macchine “trapiantatrici semiautomatiche” che estraggono dal vassoio la piantina per poi metterla a dimora.
In generale, i pomodori gradiscono un’esposizione piuttosto assolata, anche se nelle ore più calde questo può causare sofferenza sia alla pianta che ai frutti. Il terreno deve essere poi ben fertilizzato e regolarmente irrigato, in quanto i fabbisogni idrici del pomodoro sono piuttosto elevati e variabili: per i pomodori da mensa, ad esempio, l’irrigazione deve essere frequente e leggera, mantre per i pomodori da industria meno frequente ma più abbondante.
La temperatura dell’acqua di irrigazione non deve mai essere molto diversa dalla temperatura ambiente per evitare shock termici e per questo motivo si consiglia l’irrigazione al mattino o al tramonto.
La raccolta può avvenire da 40-50 giorni a oltre 120 giorni dal trapianto in pieno campo.
La raccolta per il pomodoro da tavola è fatta prevalentemente a mano: quando il pomodoro giunge a maturazione, la base del picciolo diventa fragile e il distacco della bacca risulta quindi molto agevole.
Per il pomodoro da industria, invece, la raccolta avviene meccanicamente e inizia tra l’ultima decade di luglio e la prima di agosto e continua fino alla fine di settembre: una macchina raccoglitrice passa sul campo, fila per fila, e sradica completamente l’intera pianta che, grazie a degli “scuotitori”, viene divisa dalle bacche di pomodoro.
Successivamente, un rimorchio porta il raccolto verso fabbriche poste di solito a pochi chilometri di distanza dal luogo di coltivazione proprio per preservarne meglio le caratteristiche organolettiche.
Una volta dentro lo stabilimento, se ne verifica la qualità con la tecnica del “carotaggio” (prelevando un campione di circa 10 kg) per valutare il colore, il grado Brix, l’interezza o l’eventuale presenza di corpi estranei.
Nonostante l’uso di tecnologie avanzate (per la calibratura e il lavaggio), il controllo umano è sempre presente e operatori specializzati controllano se il prodotto sia di colore più o meno rosso con il supporto di decine di microcamere; infine, con la cernita manuale si scartano eventuali frammenti di foglia e le bacche gialle residue.
Il pomodoro viene poi “pelato” attraverso dei grossi pentoloni (chiamati “scottatrici”) che fanno gonfiare e spaccare la buccia esterna, permettendo di lasciare integro il pomodoro.
A questo punto, indipendentemente dalla forma merceologica che troviamo in commercio, il prodotto è sottoposto a specifici trattamenti termici per evitare il deterioramento e garantire una migliore conservabilità e sicurezza dei prodotti.
L’Italia è tra i maggiori coltivatori e confezionatori di pomodoro al mondo e l’intero processo produttivo (identificato come “catena del valore”) è controllato e sottoposto a innumerevoli certificazioni ed autorizzazioni.
La produzione italiana è sostanzialmente prodotta su tutto il territorio, ma occorre fare qualche distinzione tra pomodoro destinato al consumo fresco e quello per la trasformazione industriale.
La maggiore zona produttiva è concentrata al Sud, in particolare nelle regioni di Sicilia, Campania, Calabria e Puglia, seguite da Basilicata, Sardegna, Abruzzo, Lazio e Umbria, mentre la produzione industriale è ben presente in Emilia Romagna, Lombardia e Toscana.
Nel nostro Paese se ne coltivano più di 300 varietà diverse, alcune delle quali si fregiano delle denominazioni di origine DOP e IGP:
Tuttavia, sia il pomodoro fresco che quello destinato alla lavorazione industriale non viene coltivato e trasformato solo in Italia, ma anche in Spagna, Portogallo, Grecia, U.S.A., Cina, India, Turchia ed Egitto.
Il periodo di commercializzazione del pomodoro trasformato dura praticamente tutto l’anno, ma il pomodoro è un ortaggio che ama il caldo, ed è quindi preferibile consumare il prodotto fresco in primavera e in estate: il periodo di produzione va infatti da maggio fino a ottobre per le varietà più tardive.
Tuttavia, grazie soprattutto a tecniche di produzione in serra o in ambiente protetto, è possibile avere una produzione di qualità anche quando le condizioni climatiche esterne sono sfavorevoli.
Per questo possiamo trovare il pomodoro fresco da tavola praticamente tutto l’anno, soprattutto all’interno dei punti vendita della GDO.
Quindi, acquistare il pomodoro in estate è sicuramente il periodo migliore per consumare un prodotto più saporito, ma anche in inverno possiamo trovare una buona qualità di pomodori, scegliendo magari tra quelle varietà che provengono ad esempio dalla Sardegna e dalla Sicilia.
Il pomodoro è un alimento che non dovrebbe mai mancare sulla nostra tavola, perché ricco di sostanze salutari.
Composto per il 94% di acqua, è ricco di vitamina C, beta-carotene, potassio e contiene anche vitamine B ed E, acido folico, ferro, fosforo e calcio. Sono inoltre presenti sostanze antiossidanti come lo zolfo e il licopene.
Contenendo molta acqua esercita quindi una vera e propria azione depurante, con effetti diuretici, alcalinizzanti e astringenti.
Ha inoltre proprietà antiossidanti grazie alla presenza del licopene, la sostanza che conferisce al pomodoro il colore rosso.
Grazie al sapore acidulo, il pomodoro stimola le secrezioni dell’apparato digerente e favorisce la buona assimilazione e facilita la digestione dei cibi ricchi di fecole e amidi come pasta, riso, patate, e aiutano a eliminare l’eccesso di proteine derivante da un’alimentazione troppo ricca di carne.
L’apporto calorico del pomodoro è talmente basso (al massimo 20 kcal per 100g) che lo rende particolarmente indicato per chi vuole mantenere la linea: un ingrediente ideale per le diete ipocaloriche, in quanto le fibre lo rendono uno “smorza-fame” ideale, mentre il suo apporto salino è un integratore di sali minerali del tutto naturale.
E’ infatti consumata in ricette iposodiche, adatto ad ogni età, alla base di stili di vita vegetariani o vegani.
Non è un allergene e pertanto è impiegato nella preparazione di alimenti in tutti i canali distributivi, per uso domestico, nella ristorazione oltre che nel mercato industriale per la preparazione di piatti pronti conservati, freschi o surgelati.
Per maggiori approfondimenti, consulta la tabella di composizione degli alimenti di CREA e LARN (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia).
Simbolo del made in Italy e della dieta mediterranea, senza i pomodori tanti piatti della tradizione gastronomica tricolore sarebbero inconcepibili.
Eppure la loro diffusione risale a epoche davvero “recenti”: il re degli orti mediterranei arrivò in Europa dal Nuovo Mondo solo nel 1540 quando lo spagnolo Hernán Cortés ne riportò alcuni esemplari dall’America centro-meridionale.
Gli Aztechi lo chiamavano tomatl (che significa frutto polposo) e la salsa di pomodoro era parte integrante della cucina indigena, mentre per le proprietà afrodisiache che gli si attribuivano, in Francia venne soprannominato pomme d’amour, ma il nome scientifico attribuitogli da Linneo (Solanum lycopersicum) deriva dal greco e significa letteralmente “pesca dei lupi”.
Tuttavia la diffusione del pomodoro nel vecchio continente si ebbe a partire dalla seconda metà del XVII secolo, inizialmente coltivato in giardini e orti botanici come pianta ornamentale.
In Italia il pomodoro trovò condizioni climatiche favorevoli in diverse regioni, dal Piemonte alla Sicilia, e grazie a selezioni e innesti successivi cambiò il suo colore dall’originario oro, da cui appunto deriva il nome, all’attuale rosso.
La popolarità di questo alimento crebbe sempre più a partire però dal XVIII secolo: nel 1762 furono infatti definite le prime tecniche di conservazione grazie agli studi del gesuita Lazzaro Spallanzani che fu il primo a notare come, richiudendo gli estratti e infusi di pomodoro in barattoli di vetro lasciati bollire per un’ora, l’azione di deterioramento si arrestava.
Egli aveva scoperto la sterilizzazione, ma purtroppo i suoi studi non passarono all’onore della cronaca, diversamente dall’opera del 1809 del pasticcere parigino Nicolas Appert “L’art de conserver les substances alimentaires d’origine animale et végétale pour pleusieurs années” che ricevette dal Direttorio francese addirittura un premio di 12.000 franchi per aver risolto il problema della fornitura di cibo all’esercito.
Se nel 1829 il pomodoro fu commercializzato per la prima volta negli Stati Uniti e nel 1847 Woodhull Crosby preparò le prime scatole di pomodori conservati, nel 1858 il piemontese Francesco Cirio aprì in Italia la prima industria conserviera e sul finire del secolo iniziò a produrre i primi derivati industriali a base di pomodoro.
Ma la fortuna dell’industria del pomodoro italiana, si deve al Cavaliere Brandino Vignali che nel 1888 mise a punto le prime tecniche moderne di conservazione nel suo stabilimento a Basilicanova: si trattava di una tecnica di condensazione del concentrato di pomodoro sottovuoto, che si rifaceva alla tradizione delle famiglie contadine parmensi (“conserva nera”), facendo essiccare al sole il succo di pomodoro che era stato preventivamente concentrato in grandi pentoloni di rame.
Nello stesso periodo storico, nell’Agro Sarnese-Nocerino venne selezionato e piantato quello che diventerà poi il famoso San Marzano DOP, dal quale ebbe origine una nuova ed inedita produzione industriale: “il Pelato”!
Oggi si stima che il consumo in Unione Europea dei derivati del pomodoro sia di circa poco inferiore ai 21 kg pro capite.
Per il prodotto da tavola e per quello da industria si applicano rispettivamente i Reg. UE 543/2011 e Reg. UE 1169/2011, per quanto concerne le informazioni che devono essere messe a disposizione del consumatore.
A livello nazionale, con il DECRETO 16 novembre 2017 (GU n.47 del 26-2-2018) è stato recente esteso l’obbligo di indicare l’origine della materia prima utilizza per tutti i prodotti trasformati a base di pomodoro, che era stato in precedenza previsto per la sola passata dal DECRETO 17 febbraio 2006.
Il pomodoro viene consumato a livello mondiale fresco o trasformato (cioè sottoposto a processi di conservazione) e i suoi usi si trovano in tutte le cucine come piatto principale, condimento o anche succo da bere.
Fondamentale per un’alimentazione sana ed equilibrata, alimento cardine della dieta Mediterranea, abbinato alla pasta e alla pizza, il pomodoro diventa l’ingrediente principale della tradizione culinaria italiana.
Se si acquista il pomodoro fresco “da tavola”, o “da mensa”, è utile saper riconoscere le migliori varietà ed evitare di consumarlo quando ancora non è maturo perché, essendo ricco di acido ossalico, può favorire la formazione di calcoli renali o interferire con l’assorbimento del calcio; inoltre, i pomodori acerbi sono anche ricchi di solanina una sostanza che può provocare sonnolenza e nausea se ingerita in quantità eccessiva.
Il pomodoro fresco può essere acquistato anche se non è ancora del tutto maturo, in quanto riesce a completare la maturazione anche lontano dalla pianta – in un ambiente umido a 20°C in 3-4 giorni o fuori dal frigorifero.
Attenzione però al momento dell’acquisto: la rosetta (la zona opposta al picciolo) deve essere rossa perché solo così possiamo capire se il pomodoro è ben avviato verso la fase di maturazione.
Quindi, come scegliere quelli migliori?
Per riconoscere i più saporiti bisogna fare attenzione al colore che è l’aspetto più importante: un bel colore rosso indica che il pomodoro è maturo e il consiglio è quello di strofinare con le dita la parte intorno al picciolo; se si sente l’aroma tipico del pomodoro, allora significa che il frutto è maturo al punto giusto.
Ci sono però varietà che richiedono un approccio diverso, essendo di colore rosso/verde anche in fase di maturazione: in questo caso bisogna osservare l’area intorno al picciolo che deve essere verdastra con delle venature che sfociano nella parte rossa.
Una volta acquistato, il pomodoro fresco offre moltissime soluzioni “casalinghe” per quanto riguarda la sua conservazione, ad esempio preparando una tradizionale salsa di pomodoro, magari con l’aggiunta di qualche fogliolina di basilico.
È poi possibile conservare i pomodori di piccola taglia al naturale, facendo ricorso ad acqua bollente con aggiunta di sale.
Un ulteriore metodo è quindi l’essiccazione, diffuso soprattutto nelle regioni del sud.
Infine, si può preparare una confettura di pomodori, dal sapore agrodolce, adatta da spalmare su bruschette oppure servita come salsa per verdure, crocchette e secondi piatti in generale.
Se si acquista pomodoro trasformato (cioè da industria) è altrettanto importante fare attenzione alle diverse categorie merceologiche presenti sul mercato, come ad esempio il pelato, la polpa, la passata e altri derivati.
In linea di massima, le tecniche di lavorazione e conservazione industriali sono praticamente simili a quelle che possiamo fare in casa: i pomodori vengono scottati, pelati, privati di semi e di una parte di acqua e, infine, setacciati; oppure, si possono far bollire pochi minuti, si incidono per far uscire l’acqua in eccesso e si lasciano scolare qualche minuto, prima di passarli e salarli.
Spesso però a livello industriale viene aggiunto dell’acido citrico per aumentarne l’acidità e prevenire la formazione del botulino.
A chiusura del ciclo, i pomodori processati vengono quindi imbottigliati e pastorizzati.
Per capire le principali differenze tra le varie marche, oltre al prezzo, dobbiamo fare attenzione alla provenienza, tipologia di pomodoro e al processo di trasformazione.
In quest’ultimo caso, infatti, una maggiore quantità d’acqua prelevata, provocando una concentrazione di zuccheri naturali e carboidrati, darà come risultato un prodotto più consistente, corposo e dolce.
Ma, nonostante il pomodoro trasformato sia per definizione un metodo di conservazione, una volta aperto il prodotto deve essere conservato in frigorifero e consumato in breve tempo, di solito entro 2-3 giorni al massimo.
Per quanto riguarda infine l’etichettatura obbligatoria, se decidiamo di acquistare il prodotto fresco è doveroso ricordarci che esiste l’obbligo non solo di indicare la provenienza, ma anche la varietà e la categoria di qualità.
Ma se optiamo per un prodotto trasformato, è ancora più che fondamentale fare attenzione all’etichetta: se fin dal 2006 esiste l’obbligo di indicare dove è stato coltivato il pomodoro usato per la passata, solo a partire dal 2018 è obbligatorio indicare, oltre al luogo di trasformazione, l’origine della materia prima per tutti gli altri derivati del pomodoro, come ad esempio per il concentrato.
Il pomodoro, o Solanum Lycopersicum, è una pianta orticola della famiglia delle Solanaceae, la stessa di patate, peperoni e melanzane.
Originario dell’America Latina, in particolare da Messico e Ande peruviane, venne conosciuto in Europa solo nella prima metà del ‘500, in particolare in Spagna e Italia: oggi è diffuso in tutto il pianeta grazie alla sua elevata adattabilità e biodiversità.
Nelle zone temperate, la pianta non sopravvive al clima invernale ed è quindi coltivata come annuale: per ottenere risultati eccellenti si ha bisogno che la pianta cresca tra i 20° e i 29° C.
Il pomodoro è una bacca carnosa caratterizzata da una buccia sottile che assume una colorazione generalmente rossa.
I semi, di forma appiattita, sono contenuti all’interno di logge e circondati dalla polpa ricca di succo.
Si presenta in forme assai differenti: da quelle piccolissime (come i ciliegini) fino a frutti più enormi (cuor di bue), ma anche in diverse colorazioni, dal classico rosso intenso ai pomodori di colore verde e giallo.
L’ampio e variegato panorama delle tipologie di pomodoro coltivate è però in continua evoluzione per offrire nuove ed accattivanti opportunità di consumo. Ad esempio sono state immesse sul mercato cultivar di colore bianco (white queen, white tomesol), giallo (douce de Picardie, wendy, lemon), rosa (thai pink), arancioni (moonglow), verdi anche a maturazione (green zebra), e persino varietà nere-violacee (nero di Crimea, purple perfect). È d’obbligo purtroppo sottolineare che alcune di queste sono state appositamente selezionate come OGM.
Esistono inoltre alcune varietà che sono state selezionate per la raccolta meccanizzata e destinate alla trasformazione industriale perché possiedono una accentuata caratteristica di distacco della bacca dalla pianta e una buccia particolarmente robusta: nel momento dell’estirpazione e scuotimento, i frutti cadono infatti al suolo senza danneggiarsi.
Le innovazioni tecnologiche hanno permesso che un prodotto dalla stagionalità ridotta possa oggi essere conservato e disponibile sulle tavole dei consumatori praticamente tutto l’anno attraverso una vasta gamma di derivati:
• Pelato intero: non subisce nessuna lavorazione e viene direttamene confezionato dopo esser stato sottoposto a lavaggio e pelatura
• Cubettato di Pomodoro: il pomodoro viene tagliato con delle macchine che fanno a cubetti il pomodoro con tagli regolari da 1 cm fino ad un massimo di 2 cm
• Polpa di Pomodoro: il pomodoro viene schiacciato contro dei “tamburi forati” facendo passare dall’altra parte una polpa irregolare di piccole dimensioni
• Passata di Pomodoro: i pomodori vengono “passati” all’interno di setacci dal diametro di max. 1 mm riducendolo in una poltiglia finissima totalmente priva di semi
• Concentrato di pomodoro: attraverso la spremitura del pomodoro, il succo viene concentrato all’interno di grandi “evaporatori sottovuoto” (in commercio esiste anche il doppio e il triplo concentrato)
Il seme del pomodoro non viene solitamente piantato direttamente in campo bensì fatto germogliare in serra (semenzai) con la giusta temperatura ed il corretto nutrimento; successivamente, solo quando la piantina raggiunge gli 8/10 cm può essere effettuato il trapianto in campo aperto: meglio se in terreni di medio impasto, ben drenati, freschi e profondi.
La tecnica di semina in semenzaio e successivo trapianto a terra viene usata sia per i pomodori da tavola che per quelli da industria.
Nel caso però di un prodotto a fini industriali, solitamente il lavoro umano è affiancato da potenti macchine “trapiantatrici semiautomatiche” che estraggono dal vassoio la piantina per poi metterla a dimora.
In generale, i pomodori gradiscono un’esposizione piuttosto assolata, anche se nelle ore più calde questo può causare sofferenza sia alla pianta che ai frutti. Il terreno deve essere poi ben fertilizzato e regolarmente irrigato, in quanto i fabbisogni idrici del pomodoro sono piuttosto elevati e variabili: per i pomodori da mensa, ad esempio, l’irrigazione deve essere frequente e leggera, mantre per i pomodori da industria meno frequente ma più abbondante.
La temperatura dell’acqua di irrigazione non deve mai essere molto diversa dalla temperatura ambiente per evitare shock termici e per questo motivo si consiglia l’irrigazione al mattino o al tramonto.
La raccolta può avvenire da 40-50 giorni a oltre 120 giorni dal trapianto in pieno campo.
La raccolta per il pomodoro da tavola è fatta prevalentemente a mano: quando il pomodoro giunge a maturazione, la base del picciolo diventa fragile e il distacco della bacca risulta quindi molto agevole.
Per il pomodoro da industria, invece, la raccolta avviene meccanicamente e inizia tra l’ultima decade di luglio e la prima di agosto e continua fino alla fine di settembre: una macchina raccoglitrice passa sul campo, fila per fila, e sradica completamente l’intera pianta che, grazie a degli “scuotitori”, viene divisa dalle bacche di pomodoro.
Successivamente, un rimorchio porta il raccolto verso fabbriche poste di solito a pochi chilometri di distanza dal luogo di coltivazione proprio per preservarne meglio le caratteristiche organolettiche.
Una volta dentro lo stabilimento, se ne verifica la qualità con la tecnica del “carotaggio” (prelevando un campione di circa 10 kg) per valutare il colore, il grado Brix, l’interezza o l’eventuale presenza di corpi estranei.
Nonostante l’uso di tecnologie avanzate (per la calibratura e il lavaggio), il controllo umano è sempre presente e operatori specializzati controllano se il prodotto sia di colore più o meno rosso con il supporto di decine di microcamere; infine, con la cernita manuale si scartano eventuali frammenti di foglia e le bacche gialle residue.
Il pomodoro viene poi “pelato” attraverso dei grossi pentoloni (chiamati “scottatrici”) che fanno gonfiare e spaccare la buccia esterna, permettendo di lasciare integro il pomodoro.
A questo punto, indipendentemente dalla forma merceologica che troviamo in commercio, il prodotto è sottoposto a specifici trattamenti termici per evitare il deterioramento e garantire una migliore conservabilità e sicurezza dei prodotti.
L’Italia è tra i maggiori coltivatori e confezionatori di pomodoro al mondo e l’intero processo produttivo (identificato come “catena del valore”) è controllato e sottoposto a innumerevoli certificazioni ed autorizzazioni.
La produzione italiana è sostanzialmente prodotta su tutto il territorio, ma occorre fare qualche distinzione tra pomodoro destinato al consumo fresco e quello per la trasformazione industriale.
La maggiore zona produttiva è concentrata al Sud, in particolare nelle regioni di Sicilia, Campania, Calabria e Puglia, seguite da Basilicata, Sardegna, Abruzzo, Lazio e Umbria, mentre la produzione industriale è ben presente in Emilia Romagna, Lombardia e Toscana.
Nel nostro Paese se ne coltivano più di 300 varietà diverse, alcune delle quali si fregiano delle denominazioni di origine DOP e IGP:
Tuttavia, sia il pomodoro fresco che quello destinato alla lavorazione industriale non viene coltivato e trasformato solo in Italia, ma anche in Spagna, Portogallo, Grecia, U.S.A., Cina, India, Turchia ed Egitto.
Il periodo di commercializzazione del pomodoro trasformato dura praticamente tutto l’anno, ma il pomodoro è un ortaggio che ama il caldo, ed è quindi preferibile consumare il prodotto fresco in primavera e in estate: il periodo di produzione va infatti da maggio fino a ottobre per le varietà più tardive.
Tuttavia, grazie soprattutto a tecniche di produzione in serra o in ambiente protetto, è possibile avere una produzione di qualità anche quando le condizioni climatiche esterne sono sfavorevoli.
Per questo possiamo trovare il pomodoro fresco da tavola praticamente tutto l’anno, soprattutto all’interno dei punti vendita della GDO.
Quindi, acquistare il pomodoro in estate è sicuramente il periodo migliore per consumare un prodotto più saporito, ma anche in inverno possiamo trovare una buona qualità di pomodori, scegliendo magari tra quelle varietà che provengono ad esempio dalla Sardegna e dalla Sicilia.
Il pomodoro è un alimento che non dovrebbe mai mancare sulla nostra tavola, perché ricco di sostanze salutari.
Composto per il 94% di acqua, è ricco di vitamina C, beta-carotene, potassio e contiene anche vitamine B ed E, acido folico, ferro, fosforo e calcio. Sono inoltre presenti sostanze antiossidanti come lo zolfo e il licopene.
Contenendo molta acqua esercita quindi una vera e propria azione depurante, con effetti diuretici, alcalinizzanti e astringenti.
Ha inoltre proprietà antiossidanti grazie alla presenza del licopene, la sostanza che conferisce al pomodoro il colore rosso.
Grazie al sapore acidulo, il pomodoro stimola le secrezioni dell’apparato digerente e favorisce la buona assimilazione e facilita la digestione dei cibi ricchi di fecole e amidi come pasta, riso, patate, e aiutano a eliminare l’eccesso di proteine derivante da un’alimentazione troppo ricca di carne.
L’apporto calorico del pomodoro è talmente basso (al massimo 20 kcal per 100g) che lo rende particolarmente indicato per chi vuole mantenere la linea: un ingrediente ideale per le diete ipocaloriche, in quanto le fibre lo rendono uno “smorza-fame” ideale, mentre il suo apporto salino è un integratore di sali minerali del tutto naturale.
E’ infatti consumata in ricette iposodiche, adatto ad ogni età, alla base di stili di vita vegetariani o vegani.
Non è un allergene e pertanto è impiegato nella preparazione di alimenti in tutti i canali distributivi, per uso domestico, nella ristorazione oltre che nel mercato industriale per la preparazione di piatti pronti conservati, freschi o surgelati.
Per maggiori approfondimenti, consulta la tabella di composizione degli alimenti di CREA e LARN (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia).
Simbolo del made in Italy e della dieta mediterranea, senza i pomodori tanti piatti della tradizione gastronomica tricolore sarebbero inconcepibili.
Eppure la loro diffusione risale a epoche davvero “recenti”: il re degli orti mediterranei arrivò in Europa dal Nuovo Mondo solo nel 1540 quando lo spagnolo Hernán Cortés ne riportò alcuni esemplari dall’America centro-meridionale.
Gli Aztechi lo chiamavano tomatl (che significa frutto polposo) e la salsa di pomodoro era parte integrante della cucina indigena, mentre per le proprietà afrodisiache che gli si attribuivano, in Francia venne soprannominato pomme d’amour, ma il nome scientifico attribuitogli da Linneo (Solanum lycopersicum) deriva dal greco e significa letteralmente “pesca dei lupi”.
Tuttavia la diffusione del pomodoro nel vecchio continente si ebbe a partire dalla seconda metà del XVII secolo, inizialmente coltivato in giardini e orti botanici come pianta ornamentale.
In Italia il pomodoro trovò condizioni climatiche favorevoli in diverse regioni, dal Piemonte alla Sicilia, e grazie a selezioni e innesti successivi cambiò il suo colore dall’originario oro, da cui appunto deriva il nome, all’attuale rosso.
La popolarità di questo alimento crebbe sempre più a partire però dal XVIII secolo: nel 1762 furono infatti definite le prime tecniche di conservazione grazie agli studi del gesuita Lazzaro Spallanzani che fu il primo a notare come, richiudendo gli estratti e infusi di pomodoro in barattoli di vetro lasciati bollire per un’ora, l’azione di deterioramento si arrestava.
Egli aveva scoperto la sterilizzazione, ma purtroppo i suoi studi non passarono all’onore della cronaca, diversamente dall’opera del 1809 del pasticcere parigino Nicolas Appert “L’art de conserver les substances alimentaires d’origine animale et végétale pour pleusieurs années” che ricevette dal Direttorio francese addirittura un premio di 12.000 franchi per aver risolto il problema della fornitura di cibo all’esercito.
Se nel 1829 il pomodoro fu commercializzato per la prima volta negli Stati Uniti e nel 1847 Woodhull Crosby preparò le prime scatole di pomodori conservati, nel 1858 il piemontese Francesco Cirio aprì in Italia la prima industria conserviera e sul finire del secolo iniziò a produrre i primi derivati industriali a base di pomodoro.
Ma la fortuna dell’industria del pomodoro italiana, si deve al Cavaliere Brandino Vignali che nel 1888 mise a punto le prime tecniche moderne di conservazione nel suo stabilimento a Basilicanova: si trattava di una tecnica di condensazione del concentrato di pomodoro sottovuoto, che si rifaceva alla tradizione delle famiglie contadine parmensi (“conserva nera”), facendo essiccare al sole il succo di pomodoro che era stato preventivamente concentrato in grandi pentoloni di rame.
Nello stesso periodo storico, nell’Agro Sarnese-Nocerino venne selezionato e piantato quello che diventerà poi il famoso San Marzano DOP, dal quale ebbe origine una nuova ed inedita produzione industriale: “il Pelato”!
Oggi si stima che il consumo in Unione Europea dei derivati del pomodoro sia di circa poco inferiore ai 21 kg pro capite.
Per il prodotto da tavola e per quello da industria si applicano rispettivamente i Reg. UE 543/2011 e Reg. UE 1169/2011, per quanto concerne le informazioni che devono essere messe a disposizione del consumatore.
A livello nazionale, con il DECRETO 16 novembre 2017 (GU n.47 del 26-2-2018) è stato recente esteso l’obbligo di indicare l’origine della materia prima utilizza per tutti i prodotti trasformati a base di pomodoro, che era stato in precedenza previsto per la sola passata dal DECRETO 17 febbraio 2006.